Benvenuto Elia, sono molto contenta che tu abbia accettato di essere intervistato.
Con il tuo libro, La città vuota, ho avuto un rapporto di amore e odio, e questi sono i libri che più ricordo con piacere. Chiaramente i loro autori mi incuriosiscono tanto.
Pertanto, inizio ponendoti subito una delle domande più difficili a cui si possa rispondere in generale, ma la cui risposta è sempre indicativa: chi è Elia P. Ansaloni?
Innanzitutto, grazie per questa intervista. Per quanto riguarda questo Elia P. Ansaloni, non saprei, lo conosco solo di vista… se ricordo bene, dovrebbe essere un chimico prossimo ai trent’anni che come hobby, anziché preparare droga o esplosivi, ha deciso di scrivere.
Le tue parole mi fanno sorridere. In effetti nell’ideologia comune un chimico non si avvicina al mondo della scrittura, bensì (complice anche il film Smetto quando voglio) ha interessi diversi. Come hai scoperto la passione della scrittura? E perché il giallo?
Penso che sia nata dalla passione per la lettura, che per mia fortuna è sempre stata incoraggiata sin da quando ero piccolo. Scrivere non è un’attività spontanea, semmai è il risultato di una lunga serie di ispirazioni e influenze, principalmente letterarie ma non solo. È qualcosa che funziona anche in senso negativo, a mio parere: quanti più esempi positivi troviamo nelle nostre letture, tanto più riusciamo a capire cosa non ci piace e cosa vorremmo cambiare, finché quella vocina nella nostra testa che dice “Se lo avessi scritto io…” non diventa lo sprone per superare la nostra riluttanza e dar vita a un nuovo libro.
Per quanto riguarda il giallo, ho sempre amato il mistero che si sviluppa fino a una soluzione logica e razionale (dicevamo chimico, no?). Penso che cercare una risposta agli enigmi che ci circondano sia qualcosa di insito nella natura umana, e la mia formazione scientifica mi ha fornito un’ulteriore motivazione in questo senso. Inoltre il giallo ha una forte connotazione sociale: dai crimini che mette in scena filtrano i problemi dell’epoca, a volte con una schiettezza che non si trova in altri generi.
Non ti nego, come puoi aver letto anche nella recensione del tuo libro, che la prima cosa a cui ho pensato scorrendo le pagine iniziali è stata quanto l’idea di un gruppo di amici sia impegnativa per uno scrittore. Trova questa la sua origine da un’esperienza positiva del gruppo? Perché nello specifico questa tipologia di personaggi?
Alla base de La città vuota c’è proprio la storia di amicizia fra i quattro protagonisti, una storia che evolve nel tempo pur mantenendosi stabile, quindi sì, l’idea positiva del gruppo di amici è una delle componenti fondamentali di questa storia. Sebbene ogni cerchia di amici sia quasi un mondo a sé, con delle abitudini e un senso dell’umorismo che spesso è chiaro solo a chi vi fa parte, volevo trasmettere quei tratti che sono universali: appartenenza, complicità, fiducia. L’ideale per chi deve affrontare un mistero.
I personaggi sono ragazzi visti negli anni tra la fine del liceo e l’università, quindi nel periodo in cui si inizia a lasciare la scuola per approcciarsi alla vita adulta. Hanno più o meno la mia età, quindi mi hanno offerto un modo per riflettere su quegli anni e su quanto la mia generazione si sia trovata (e si trovi ancora) in una società molto più appariscente rispetto a quella del passato ma anche molto più incerta. Che siano vittime, sospettati o detective improvvisati, i miei personaggi sono tutti alla ricerca di un punto di riferimento.
Non è semplice gestire un gruppo in un libro giallo, e secondo me, come ti ho già detto, ci riesci molto bene. È stato impegnativo programmare lo svolgimento della trama e l’evolversi delle relazioni?
È stato molto impegnativo, non lo nascondo. Volevo evitare di creare dei personaggi unicamente in funzione di una trama già fissata in partenza, quindi per prima cosa ho ideato un nucleo di protagonisti per studiare le loro meccaniche interne e come farli interagire fra loro, poi ho costruito una trama che fosse plausibile, un procedimento decisamente macchinoso quando si scrive un giallo. Devo dire però che è stata una vera soddisfazione riuscire a far collimare la storia e a sviluppare i vari personaggi senza rinunciare al realismo che è necessario quando si affrontano misteri di questo tipo.
La tua scena preferita, senza cui il libro non sarebbe lo stesso?
Considerato il genere sembrerà una risposta banale, ma ho dedicato una certa attenzione al momento in cui viene svelato il mistero. È una scena diversa da quelle che la circondano, perché è mostrata da un punto di vista nuovo all’interno della storia – quello della vittima – ed è un momento di assoluta serietà in contrasto con l’umorismo presente negli altri capitoli. È stato difficile farla risaltare rispetto alle altre parti della storia ma ne è valsa la pena. Penso che sia il fulcro non solo delle vicende ma anche, per la sua diversità rispetto al resto, dell’atmosfera che ho voluto creare nel libro.
Se invece dovessi pensare alla scena che è stata più divertente da scrivere e che è stata apprezzata molto anche dai lettori, direi l’inizio del quinto capitolo, in cui Sergio, uno dei protagonisti, svolge un’indagine per conto proprio con tanto di interrogatorio improvvisato. Mi ha permesso di lavorare intorno ai limiti che per forza di cose incontrerebbe un comune cittadino alle prese con un mistero da risolvere. Non siamo tutti dei Poirot.
Bene, l’intervista è finita. Grazie ancora per aver accettato e averci parlato di te e del tuo libro. Io ti saluto e ti lascio cinque righe per dire ciò che vuoi!
Cari lettori, prima di tutto grazie per avermi concesso la vostra fiducia. So che iniziare un nuovo libro è un investimento e spero che vi sentiate ripagati una volta arrivati all’ultima pagina. Non smettete mai di essere degli osservatori attivi verso le nostre opere perché, anche se ricevere delle critiche non è mai facile, noi scrittori andiamo nel panico se ci ritroviamo a brancolare nel buio e abbiamo bisogno di capire se riusciamo a comunicare qualcosa agli altri.
Infine non scordate che abbiamo iniziato come lettori anche noi e continuiamo a esserlo; perciò, se avete una storia da condividere col mondo, non abbiate paura di provare. Ci saranno infinite correzioni, rifiuti da mandar giù e case editrici disoneste da schivare, ma ne varrà la pena.