Ed eccoci qui per un’intervista con Diego Galdino, l’autore di L’ultimo caffè della sera.
Scrittore, lettore e barman, scopriamo qualcosa in più su di lui!
Il caffè è un elemento importante nei tuoi ultimi scritti, e tu sei anche un barman oltre che scrittore, dunque una professione di certo ha influenzato l’altra. In che modo vivi questa dicotomia?
La mia è un po’ una doppia vita come quella di Clark Kent e Superman. Mi sveglio alle quattro tutte le mattine, scrivo per un’ora e mezza, poi mi travesto da barista e vado a preparare il caffè ad Antonio l’idraulico.
La cosa più bella è quando vengono al bar lettori dei paesi in cui sono stati pubblicati i miei romanzi, per farsi fare una dedica o scattarsi una foto dietro al bancone insieme a me. Vedere le loro facce incredule quando entrano nel bar e mi trovano dietro al bancone a fare i caffè come il protagonista dei miei romanzi, è qualcosa di bello a cui non mi abituerò mai.
Lì si rendono conto che è tutto vero, che non mi sono inventato niente, che sono entrati a far parte delle mie storie come i personaggi dei libri che hanno letto. Poi quando gli presento Antonio l’idraulico, Pino il parrucchiere, Luigi il falegname e il tabaccaio cineromano Ale Oh Oh la loro realtà supera la mia fantasia.
Nel bar io ci sono nato nel vero senso della parola, visto che a mia madre le si sono rotte le acque dietro a quello stesso bancone dove ancora oggi io preparo i caffè, nello stesso bar ho imparato a camminare, ho detto le mie prime parole, ho fatto i miei primi compiti, mi sono innamorato.
Dalla tua risposta si può intuire quanto sia forte il radicamento nel tuo bar, ed è una cosa che ammiro. Se ci rispecchia ciò che i nostri cari hanno fatto prima di noi, credo sia fantastico continuare il loro lavoro. E’ un pò come un passaparola, un telefono senza fili, della vita.
Tu, però, hai pubblicato in otto paesi europei e in Sudamerica, per cui cosa ti spinge a continuare a lavorare come barman?
Mi piace troppo l’idea di dare un posto dove i miei lettori possano sempre trovarmi, per una dedica, una foto e per scambiare due chiacchiere davanti ad un caffè preparato da me.
Quanto c’è di te in Mino, in realtà? Hai trasportato nel suo personaggio alcune esperienze, viste o vissute nel tuo bar?
Di sicuro i miei due romanzi dedicati al bar e al caffè sono i miei romanzi più autobiografici, perché a parte l’avvenenza fisica e l’età, non posso negare che il Massimo delle due storie rappresenti me stesso in tutto e per tutto.
Credo che il bar si presti bene come fonte d’ispirazione, perché racchiude al suo interno una galassia di persone diverse che girano intorno al bancone come i pianeti intorno al Sole, prendendo dal caffè quel calore, quell’energia che ti accompagnerà, anzi che ti farà compagnia per il resto della tua giornata.
In cambio queste persone permettono, con le loro storie di vita vissuta, le loro manie, i loro caratteri simili o sempre diversi, al Sole/bancone di adempiere al suo dovere a ciò che ne rende indispensabile per se stesso e per gli altri la sua stessa esistenza.
Oggigiorno non è molto comune che un uomo scriva romanzi rosa. Come è iniziato il tuo percorso in questo campo?
La scrittura è arrivata molto dopo il caffè e grazie ad una ragazza che un giorno mi mise in mano un libro e mi disse: «Tieni, questo è il mio romanzo preferito. Lo so, forse è un genere che piace più alle donne, ma sono certa che lo apprezzerai, conoscendo il tuo animo sensibile».
Il titolo del romanzo era Ritorno a casa e la ragazza aveva pienamente ragione. Quel libro mi conquistò a tal punto che nelle settimane a seguire lessi l’opera omnia dell’autrice. Il mio preferito era I cercatori di conchiglie.
Scoprii che il sogno più grande di questa ragazza di cui ero perdutamente innamorato, era quello di vedere di persona i posti meravigliosi in cui la Pilcher ambientava le sue storie. Ma questo non era possibile perché un grave problema fisico le impediva gli spostamenti lunghi. Così, senza pensarci due volte, le proposi: «Andrò io per te, e i miei occhi saranno i tuoi. Farò un sacco di foto e poi te le farò vedere». Qualche giorno più tardi partii alla volta di Londra, con la benedizione della famiglia e la promessa di una camicia di forza al mio ritorno.
Fu il viaggio più folle della mia vita e ancora oggi, quando ci ripenso, stento a credere di averlo fatto davvero. Due ore di aereo, sei ore di treno attraverso la Cornovaglia, un’ora di corriera per raggiungere Penzance, una delle ultime cittadine d’Inghilterra, e le mitiche scogliere di Land’s End. Decine di foto al mare, al cielo, alle verdi scogliere, al muschio sulle rocce, al vento, al tramonto, per poi all’alba del giorno dopo riprendere il treno e fare il viaggio a ritroso insieme ai pendolari di tutti i santi d’Inghilterra che andavano a lavorare a Londra.
Un giorno soltanto, ma uno di quei giorni che ti cambiano la vita.
Tornato a Roma, lasciai come promesso i miei occhi, i miei ricordi, le mie emozioni a quella ragazza e forse le avrei lasciato anche il mio cuore, se lei non si fosse trasferita con la famiglia in un’altra città a causa dei suoi problemi di salute. Non c’incontrammo mai più, ma era lei che mi aveva ispirato quel viaggio. In fin dei conti tutto ciò che letterariamente mi è successo in seguito si può ricondurre alla scintilla che lei aveva acceso in me, la voglia di scrivere una storia d’amore che a differenza della nostra finisse bene. Da allora non ho più smesso di scrivere, cercando di conciliare la mia vita da scrittore con quella da barista.”
So che hai stilato una lista in cui hai abbinato ogni caffè ad una personalità ben precisa.
Mi piaceva l’idea di creare una specie di oroscopo con al posto dei segni zodiacali i vari tipi di caffè ed associarli al carattere e alla personalità di chi li beve ogni giorno sempre alla stesso modo, lasciando che il loro caffè preferito li rappresenti come persona, come il caffè macchiato per gli indecisi, per coloro che non sanno scegliere tra un caffè e un cappuccino.
Le ultime righe sono a tua disposizione: dì ciò che vuoi ai nostri lettori.
Io dico sempre che è importante leggere a prescindere che siano o no i miei romanzi. Perché leggere è la cosa migliore che possa fare un essere umano, dopo fare l’amore.